Dipinto antico Madonna e Sant’Anna XVII secolo.
Pittore lombardo
Titolo: Madonna col Bambino e Sant’Anna
tra San Giuseppe e San Paolo
Olio su tela cm 195 x 140
Grande pala d’altare, di impianto seicentesco si presenta come un originale inserito nella tradizione emiliano-lombarda delle ricche composizioni pittoriche barocche.
Tutto lo stile ricorda molto da vicino il noto pittore Giovanni Stefano Maria Danedi detto “il Montalto” (Treviglio, 1612 – Milano, 1690) legato direttamente ai grandi nomi di area nord italiana seicentesca come Morazzone, Procaccini, Cerano, Piola, Del Cairo e indirettamente alla scuola emiliana (Reni); molto frequenti nel Montalto le opere di grandi dimensioni trattate col medesimo forte chiaroscuro in cui le figure risaltano come bagliori sul buio profondo delle quinte, con i colori cangianti dei panneggi a moderarne il contrasto e ad appagare la vista con toni giustapposti.
Opera originariamente destinata ad una sede ecclesiastica, deducibile anche dal blasone in basso a sinistra da cui si può risalire alla committenza precisa, a tutt’oggi mantiene un fascino ed una qualità pittorica altamente apprezzabile anche in ambiente privato.
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Giovanni Stefano Maria Danedi detto “il Montalto”.
Figlio di Giovanni Antonio e di una Clara, fratello di Giuseppe, venne battezzato il 5 genn. 1612 nella chiesa di S. Martino di Treviglio presso Bergamo (Archivio parr. di S. Martino, Registro delle nascite 1609-24; cfr. Bandera Gregori, 1985, p. 57). È ricordato in pochi documenti, a partire dal sett. 1640, quando insieme con Giuseppe è nominato nella “convenzione” con cui i frabbriceri di S. Martino a Treviglio commissionarono ai due pittori quattro Evangelisti a fresco, già nella cappella di S. Antonio, oggi scomparsi. Nel 1641, secondo il Paolini (1887, p. 18), i due collaborarono nella chiesa di S. Teresa di Pavia all’affresco con l’Assunzione. Le opere autografe, documentate da riscontri d’archivio, costituiscono urla parte tuttavia minima di un complesso molto vasto.
Il Marinelli (1982) avrebbe individuato un periodo di attività del D., che abbraccia il decennio fra il 1630 e il ’40, nel quale egli si manifesta strettamente legato ai caratteri stilistici del Cairo e naturalmente del Morazzone, che rimarrà sempre l’ascendente più determinante del suo stile. Sulla base dell’attribuzione al D. di un Cristo morto pianto dagli angeli, oggi al Museo di Castelvecchio a Verona, attribuzione precisata dal rinvenimento della firma “Stefano Daneda”, apparsa nel corso del restauro, il Marinelli ha ricostruito parzialmente il “primo tempo” del Doneda.
A questo gruppo si possono aggiungere alcuni dipinti dibattuti fra vaghe attribuzioni al Cairo o al Morazzone: una Susanna con i vecchioni di collezione privata (Bona Castellotti, 1985, tav. 234); il Ritrovamento di Mosè di coll. priv. milanese (ibid., tav. 241), che tuttavia presenta un impianto più solido che lo farebbe ritardare oltre la metà del secolo; un Martirio di s. Agata di coll. priv., già dato dubitativamente a Giulio Cesare Procaccini; l’Erodiade comparsa sul mercato londinese come opera autografa di Francesco del Cairo (Christie’s, Londra, 8 luglio 1983), ma già riferita al D. da chi scrive (in F. Cairo, 1983) e riportata nel catalogo del D. dalla Bandera Gregori (1985); Venere che fa disarmare Marte, già attribuita al Morazzone (Christie’s, Londra, 19 maggio 1978); il Cristo nell’orto di proprietà di Brera, oggi in deposito nella facoltà teologica di S. Simpliciano a Milano, proveniente in origine dall’antica corte ducale, posteriore probabilmente al 1640 (F. Cairo, 1983, p. 84); la Toeletta di Venere di collezione privata, di carattere decisamente morazzoniano; Diana ed Endimione dei Musei del Castello Sforzesco, che tuttavia è posteriore al 1650; il S. Francesco in estasi, già nell’ospedale di Savigliano e ora in coll. privata, replica del dipinto di S. Tommaso a Torino (F. Cairo, 1983, p. 160); la Cleopatra di coll. priv. a Milano, pubblicata dalla Gregori (Il Morazzone [catal.], Varese 1962, p. 115) come opera di scuola del Morazzone; lo Sposalizio mistico di s. Caterina (Finarte, Milano, 29 marzo 1983, p. 36, n. 133). Secondo la Bandera Gregori (1985) apparterrebbero “agli anni Trenta o al più tardi agli inizi del decennio successivo” anche la Visita a s. Elisabetta e l’Annunciazione del santuario della Madonna delle Lagrime di Treviglio, già concordemente riferite al fantomatico Andrea, ritenuto dalla letteratura locale padre del D. e di Giuseppe (S. Barizaldi, Memorie del santuario … [1721], Treviglio 1822), tanto vale per il Miracolo della mula in S. Martino a Treviglio, di forte carattere morazzoniano, nel quale la Bandera Gregori (p. 72) vede anche la possibile presenza di un autoritratto del Doneda.
Negli anni compresi fra il 1641 e il ’48 pare che il D. abbia lasciato la Lombardia alla volta di Roma, ma di questo viaggio non si posseggono conferme documentarie e il Lanzi (1808) sostiene che “non frequentò scuole estere”. A Roma sarebbe entrato in contatto con l’opera di Pietro da Cortona; senza tuttavia immaginare un periodo di alunnato presso di lui, gli effetti di tale incontro si farebbero notare in alcuni cicli di affreschi più tardi di carattere profano, a Corbetta nella villa Frisiani, a Cesano Maderno, nella villa Arese.
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